LoMo - Spedizione
Wildau → Shanghai → Wildau
   deutsch    english    русский

Diari di viaggio - Mailing list

 

Polonia
Wildau - Bakowice, 3. Maggio, km 400

Ciao gente!

Per capirci meglio, ci permettiamo ancora una volta di presentarci: noi, Markus Rohling (Lo) e Rayko Moritz (Mo) siamo pronti ad andare con le nostre moto (Yamaha XT600) da Wildau a Shanghai e tornare indietro partendo il primo maggio. Certo non vogliamo tenervi nascosto tutto quanto vedremo in questo viaggio, quindi cercheremo di mandarvi per email i nostri diari di viaggio ad intervalli irregolari per circa un anno. Speriamo di fornirvi racconti interessanti ed informativi e saremo naturalmente felici di sapere la vostra opinione a proposito. Se avete anche amici, parenti o conoscenti che non vogliono privarsi della gioia delle nostre mail, spediteci i loro indirizzi e-mail, che inseriremo con piacere nella nostra mailing list.

Ed ora buon divertimento con il 1' diario di viaggio:

6 Maggio, Giovedì, Km percorsi 1010, posizione: presso Tarnow (Polonia).

Dunque...ce l'abbiamo fatta! I giorni stressanti della preparazione e la tormentosa incertezza di riuscire ad essere pronti per tempo o meno sono ormai passati. Le interminabili liste con le cose ancora da fare, che aumentavano di giorno in giorno, sono state per la maggior parte spuntate. Anche il nostro equipaggiamento è stato completato all'ultimo momento e solo nelle prime settimane si è dimostrato che ci eravamo preparati bene. Senza l'aiuto altrui, però, tutto ciò non sarebbe mai stato possibile, per questo vorremmo ancora una volta ringraziare espressamente i miei genitori, che si sono occupati della preparazione delle borse per la moto (un lavoro di gran classe, mamma!!), della saldatura e verniciatura dei portapacchi (e qui diamo un dieci a papà per la sua collaborazione!) e di tante altre piccole cose. Grazie anche alla mamma di Lo e alla dottoressa Hegenscheidt, che ci hanno fornito rimedi e medicine per ogni possibile malorino.

Un grazie di cuore anche ai nostri amici che ci sono stati vicini a fatti e parole. Anche il "salvadanaio" non è ancora stato vuotato, dovrà servire da gruzzoletto di salvezza per i momenti di difficoltà.

L'ultimo ringraziamento è rivolto alla delegazione del 1' Maggio. Ragazzi, questo vi costerà una nota sul registro per non aver partecipato, senza permesso, alla dimostrazione del 1' Maggio! (per fortuna quei tempi sono passati!). Per noi è stato particolarmente toccante notare che tra i nostri amici più cari c'è qualcuno che vuole essere davvero sicuro che partiamo veramente - Grazie di esserci!

Fa un effetto strano divenire consapevoli di ciò che uno ha in mente. Rinunciare per un anno all'ambiente familiare, per un anno essere continuamente in giro, per un anno non sapere che cosa accadrà il giorno seguente. Tuttavia le prime impressioni su questo viaggio fanno dimenticare velocemente questo sentimento di vaga malinconia.

La Polonia è davvero un bel paese. Non abbiamo mai avuto modo prima di conoscerla così intensamente come in questi giorni. Con le nostre 30 tonnellate evitiamo le strade principali e deviamo continuamente verso stradine più piccole. In questo modo si scopre molto di più sia a proposito del paese che dei suoi abitanti. Ogni volta che dichiariamo i contadini Kowalski o Raczkowski (scusa Kow, ma è di origine polacca!) nostre famiglie ospitanti impariamo ad apprezzare la vera e profonda ospitalità polacca.

Nei pressi di Czestochowa (vicino a Cracovia) una famiglia ci convince addirittura a rimanere ancora un giorno. E perché no? In fondo possiamo entrare in Ucraina solo il 7 maggio, così sfruttiamo l'occasione del momento, lasciamo tutte le nostre cose alla famiglia e il giorno seguente andiamo a vedere Cracovia. Quella sarà una bella giornata. La città, che si riflette nella graziosa piazza del mercato, nelle indaffarate vie con i negozi, negli abitanti che sembrano essere ovunque quasi esclusivamente giovani, dunque...questa città è uno dei più antichi centri universitari d'Europa, contando tra le sue migliori caratteristiche ben 130.000 studenti.

Il giorno successivo è fatto di nuovo di stradine secondarie che attraversano luoghi idilliaci e ci conducono ad un traghetto col quale traversiamo il fiume Weichsel. Arrivati a riva vogliamo proseguire ma la mia moto decide di scioperare. Bene - eccoci alla prima ora di fai da te dopo nemmeno 1000 Km! Fortunatamente è solo una vite della batteria che si è allentata un pò e si stringe in un attimo. Non abbiamo più voglia di guidare, così ci cerchiamo la nostra prossima famiglia ospitante e terminiamo la giornata in tutta tranquillità. Di nuovo vengo sopraffatto da una bella sensazione, perché so che questa vacanza non finirà in due settimane. Ancora una chiacchierata con il contadino Dareck, una birretta e già dormiamo alla grande, sognando campi e paesini polacchi, con i loro abitanti che ci sono così simpatici.

Allora....alla prossima!

 

Ucraina
L'vov (Львів) - Kerch (Керч), 8. Maggio - 4. Giugno, km 3900

Dunque amici, il primo mese è ormai trascorso e per noi è di nuovo arrivato il momento di bombardarvi di esperienze ed impressioni. Tuttavia prima di tutto mille grazie per le numerose risposte al primo diario di viaggio. Ci hanno fatto veramente piacere, continuate così! Solo che purtroppo non possiamo rispondere ad ogni mail singolarmente semplicemente perché esse sono troppo numerose!. Speriamo nella vostra comprensione e ci proponiamo di rispondere alle vostre domande nel seguente 2' diario di viaggio.

Intanto il nostro itinerario e i nostri diari di viaggi sono reperibili anche in Internet. Il nostro Webmaster Steffen (grazie di cuore!) aggiorna tutto all'indirizzo www.lomo-expedition.de. Quindi date un'occhiata una volta ogni tanto.

E ora...si parte:

Dopo una brevissima traversata della Polonia siamo stati in Ucraina dall'8 maggio al 4 giugno. L'Ucraina è un paese fantastico dove abbiamo fatto incontri ed esperienze bellissimi, cominciati già con il primo pernottamento. Dopo aver attraversato molto velocemente il confine dalla parte polacca, dalla parte ucraina c'è già stata un pò più di burocrazia. Un foglietto qui, un timbro là e piano piano da un posto all'altro siamo tornati sempre più indietro. Quando poi volevamo farci timbrare il permesso internazionale, la confusione ha raggiunto l'apice. Dopo aver cercato di convincere gl'impiegati per un bel pò, riusciamo ad ottenere il nostro timbro e così, verso le 19.00, riusciamo a lasciare il confine.

Il cielo si faceva sempre più scuro e ciò significava dover trovare al più presto un posticino adatto a trascorrervi la notte. Caso vuole che finiamo da Oleg e dalla sua famiglia. Sua moglie studia attualmente in Germania e la madre, dall'alto dei suoi 74 anni, continua a fare l'insegnante di tedesco a Rava Ruska, al confine. Per noi è stata una vera fortuna visto che così abbiamo potuto comunicare con facilità. Ma è stata una fortuna anche per lei visto che siamo stati in assoluto i primi tedeschi che avesse mai incontrato. E così quella che doveva essere una sola notte si è trasformata in quasi due giorni di goduta ospitalità.

Dopo quest'inizio straordinario abbiamo continuato il viaggio verso sud, traversando L'vov, Kalusch, passando da Ivano Franco nei Carpazi. Questo massiccio ancora quasi totalmente preservato dal turismo ci ha colpito al punto tale che ci siamo fermati qui tre giorni, in una valle addormentata. Qui, così come in tutti i nostri soggiorni in ogni parte del paese, non sono mancate cure ed attenzioni. Quasi ogni contadino possiede una o due mucche e qualche gallina. Quelli un pò più ricchi hanno magari anche maiali e cavalli. A volte venivamo sommersi da uova, latte, patate e marmellate. Ma se ciò pareva troppo poco ai nostri ospiti, ci venivano offerte vere e proprie pietanze, come il piatto nazionale "Borscht" o "Gretschka" (una specie di miglio). Naturalmente ad accompagnare qualunque tipo di cibo non deve mancare la vodka, presente sempre secondo le proporzioni. Prima, dopo o durante i pasti, per gli ucraini sembra non fare alcuna differenza. Solo che, come si può rifiutare cortesemente, senza offendere chi ci ospita e senza, al tempo stesso, finire in un delirio interminabile? Queesta non è sicuramente cosa facile, ma fin'ora siamo riusciti a conciliare le due cose.

Il tempo non si è dimostrato particolarmente favorevole nei nostri confronti mentre eravamo in valle e, visto che continuava a piovere senza sosta, dopo tre giorni siamo partiti verso est, per raggiungere finalmente paesaggi assolati. Se in quel momento ci immaginavamo ancora Kiev e la Crimea come punti chiave del viaggio, la situazione è mutata definitivamente in Kamenz Podelska.

Da un paio di giorni la moto di Mo si faceva sempre più malaticcia e dopo essersi accesa con debolezza cronica, finì per necessitare una degenza all'ospedale ambulante di Kamenz per quattro giorni consecutivi. Avevamo percorso solo 2000 Km e il veicolo cominciava già ad arrugginire. E quindi...vai con la manutenzione ...yuhhhu!I meccanici, di una competenza estrema, lavoravano probabilmente per la prima volta su una Yamaha e diagnosticarono, dopo una prognosi iniziale terrificante, la rottura della batteria, dell'avviamento e del relais, successivamente una batteria difettosa con un relais dell'avviam altrettanto danneggiato. Abbiamo acquistato quindi una nuova batteria che è stata poi trapiantata sulla moto, mentre il relais è stato rianimato solo per poco dai nostri meccanici (beh, non è la tecnica russa dei grandi spazi!). Poiché ogni importazione da suolo tedesco farebbe saltare le casse di ogni viaggiatore (un grazie a Sven, nostro esperto motociclista per le sue informazioni immediate dalla Germania, a proposito della spedizione di ricambi in Ucraina), il problema è stato ignorato e da allora vaghiamo qui e là con un relais difettoso. Questa sosta obbligata è terminata con un'ora di autogrfi per i meccanici e con una deviazione: Kiev viene cancellata, altrimenti sorgerebbero problemi di tempo con le scadenze dei visti. Così, dopo Kamenz, abbiamo fatto rotta verso la Crimea, impresa non sempre facile: spesso i cartelli stradali sono merce rara e quindi molte volte ce la siamo cavata solo chiedendo indicazioni. Per fortuna non è finita ogni volta con una rissa, cosa che invece è accaduta a Kalutsch, dove la gente quasi si picchiava, per indicarci una strada sempre migliore, più sicura e più bella. Quando si tratta della via migliore da percorrere i pareri sono molto discordanti: mentre all'inizio pensavamo che le strade asfaltate terminassero dopo gli Urali ci siamo accorti che, in realtà, ciò accadeva già in Ucraina. Da anni le strade vengono trascurate e di conseguenza non c'è da stupirsi se quella che dovrebbere essere la strada battuta non è più assolutamente percorribile. Buchi e solchi del manto stradale, sono così profondi che uno ci si potrebbe nascondere dentro, spesso essi conducono ad una seconda via, parallela a quella vera e propria, che è solitamente più transitabile. Quando anche questo stratagemma non funziona, le strade pricipali devono correre necessariamente su prati o campi, spesso anche per vari chilometri. Molte volte nei paesi esistono solo strade sterrate, che ci fanno veramente sudare sette camicie a causa di un lungo viaggio affrontato con altissima concentrazione, quando a farci sudare non è già il sole con il suo calore. Tuttavia è così che abbiamo dominato i tracciati più avventurosi, con un numero relativamente esiguo di incidenti e, traversando Tomaschpil, Balta, Mikolaew e Xercon, siamo arrivati in Crimea.

Mentre il nord è ancora totalmente sconosciuto ai turisti, lungo tutta la costa meridionale, da Yalta ad Alutschta si incontra un hotel dopo l'altro. Si nota proprio come Lenin abbia voluto fare della Crimea il luogo di relax par eccellence per il popolo lavoratore; qui come in tutto il resto del paese, si vedono ancora gli scheletri di hotels, capannoni industriali e proprietà private che non sono mai stati terminati.

Ed ora sicuramente una delle domande più interessanti: come riscono a farsi capire i nostri ragazzi laggiù? Per fortuna abbiamo avuto l'onore di godere dell'istruzione pubblica della DDR (Repubblica Democratica Tedesca), secondo cui il russo era una materia obbligatoria, ma ciononostante, il processo di arruginimento cerebrale è inarrestabile e quindi si prospettano quotidianamente studio ed esercizio di grande impegno. A rendere tutto più difficile c'è anche il fatto che in tutto il pese, compresa la Repubblica Autonoma di Crimea, si parla ucraino che, però, per il 70% è simile al russo. Inoltre tutti gli ucraini avevano studiato, e studiano tutt'ora, russo a scuola, ma lo parlano veramente a fatica. Se poi durante una conversazione non ce la caviamo con la lingua cominciamo ad usare mani e piedi, alla fine è la simpatia ad avere la meglio e, come si sa, questa non ha bisogno di parole.

Nel corso dei nostri incontri con le persone più disparate non manca naturalmente il contatto con le forze dell'ordine. Tuttavia, a parte i documenti obbligatori, le nostre moto erano spesso più interessanti di qualunque scartoffia e ciò ci ha sempre consentito di continuare il nostro viaggio dopo un paio di minuti.

Talvolta sono gli orari a creare difficoltà. Ad esempio un giorno volevamo consegnare un pacco alla posta e, secondo gli orari di apertura esposti, eravamo perfettamente in tempo. Poiché l'impiegata insisteva dicendo che l'ufficio aveva già chiuso da tempo e che dovevamo tornare l'indomani, pensavamo si trattasse solo di scarsa voglia di lavorare; poco dopo scoprimmo, però, che la signora allo sportello aveva ragione: i nostri orologi erano indietro e così, per caso, dopo 10 giorni, abbiamo scoperto il fuso orario, per noi piuttosto raro, dato che stavamo viaggiando sempre in Europa.

Dopo più di 2.600 Km in questo paese così affascinanate il 4 giugno lasciamo la penisola Crimea partendo con il traghetto. Prima però mettiamo duramente alla prova le autorità ucraine per l'entrata/espatrio: probabilmente i vari funzionari di dogana non sanno di che cosa gli altri uffici hanno bisogno e così si scopre che ci manca subito un documento che noi non abbiamo mai visto e senza il quale non abbiamo il permesso di espatriare. Solo grazie a faticose trattative, ad una lunga attesa e al fatto che il traghetto stava addosso ai doganieri riuscimmo a far sì che la nave partisse dopo un'ora con noi due a bordo. Mezz'ora dopo cominciò l'avventura della Russia.

Alla prossima.

 

Russia I
Kerch (Керч) - Karatschajevsk, 4. - 10. Giugno, km 4600

Ormai abbiamo già un mese alle spalle e con il senno di poi dobbiamo ammettere che in Polonia e in Ucraina abbiamo girato alla grande, così... liberamente, senza troppi problemi, seguendo il detto "la via è la meta". Tuttavia è stato soprattutto per la grande ospitalità dell'Ucraina che ci è stato sempre così difficile fare i bagagli e continuare il viaggio, ma ora il nostro itinerario prevede un nuovo paese, che, inconsciamente, desta un'enorme curiosità già solo per le sue dimensioni.

Le formalità doganali da parte russa vanno per le lunghe, il che significa che è ormai più che buio quando finalmente ci danno il permesso di lasciare la dogana, dopo averci fatto più volte fare e disfare i nostri bagagli. Ah!...allora è questa la Russia! Beh, per ora non si vede proprio un bel niente!...Invece no! Dopo 10 Km di asfalto c'è il primo controllo doganale russo, nel cuore della notte. Sembra che non ci siano problemi...possiamo proseguire. Un pò innervositi per la lunga ricerca di un posto per la notte nelle più fitte tenebre riusciamo, dopo vari tentativi, a trovare un posticino accettabile. Il mattino dopo siamo costretti a sorridere: ci accorgiamo infatti di esserci fermati, senza saperlo, a 300 metri dal mare. Il giorno successivo cancella le nostre tensioni: ora sì che possiamo andarcene tranquillamente per la strade della Russia. La qualità dell'asfalto, rispetto all'Ucraina, è veramente buona.

Cerchiamo invano le fontane nelle cascine o nel centro del paese a noi tanto care e note, ma qui sembra essere tutto già un pò più lussuoso. E' grazie a delle pompe che si recupera dal sottosuolo l'acqua indispensabile per vivere. Inoltre molte cascine non lasciano intravedere nulla quando le si osserva dall esterno, delle staccionate altissime separano i casali dal resto della strada impedendo qualunque sguardo indiscreto.

Qui c'è anche molto più traffico; se in Ucraina si contano ancora automobili come la Lada, la Moskwitsch o la Sapporosch, qui saltano all'occhio diverse marche occidentali. Per lo meno nella parte estremoccidentale della grande Russia le infrastrutture sono molto meglio di ciò che ci eravamo sempre immaginati. Di sera ci mettiamo con largo anticipo a cercare un posto per la notte. Una sbarra in mezzo alla strada ci impedisce di proseguire. Nell'indecisione se tornare indietro o meno cominciamo a chiacchierare con Ivan, che, come lui stesso ci racconta, è una sorta di custode e guardiacaccia del bosco che ci sta innanzi. Quando gli spieghiamo che stiamo cercando solo un posto per montare la tenda Ivan lascia scomparire ogni scetticismo e ci mostra una graziosa radura nel suo bosco, così misterioso. Non ci vuole molto prima che la tenda e le moto si ritrovino le une di fianco all'altra. Mentre prepariamo la cena ci si presenta davanti Ivan e ci racconta di lui e del suo bosco incantato. Tutta la zona boschiva è recintata, una volta era la riserva di caccia dei vari capi di stato, oggi, al massimo, ci sono ricchi vacanzieri che vengono a caccia qui. Successivamente conosciamo anche Fjodor, un amico di Ivan. Mentre beviamo un thè i due ci sconsigliano di andare nel Caucaso, soprattutto Fjodor deve avere davvero dei brutti ricordi di questa zona. E' piacevole parlare con loro, così rimaniamo qui due giorni, dopodiché, spostadoci in seguito verso sud, andiamo incontro al Caucaso.

Attualmente c'è un problema che ci tormenta e che dobbiamo prendere veramente sul serio. Le formalità d'ingresso russe prevedono che ci si faccia registrare nel paese entro i primi tre giorni lavorativi, quindi facciamo un tentativo e preghiamo la signora della reception, in un hotel di Krasnodarsk di mettere quel timbro sui nostri passaporti. Ma la registrazione sarebbe possibile solo con un pernottamento in hotel. Tuttavia, visto che in albergo non ci fanno montare la tenda, torniamo sulla strada lasciando la cosa irrisolta. Il giorno dopo il tempo stringe, a Maikop facciamo ancora un tentativo in un hotel, con lo stesso risultato. Allora cerchiamo l'anagrafe locale, dove ci spediscono da una stanza all'altra, anche se il timbro non ce lo vuol metter nessuno.

Innervositi ci occupiamo innanzitutto di cose più importanti. Per strada, proprio nel centro città , incappiamo nuovamente in uno degli infiniti controlli di polizia. Soprattutto in questo quartiere vi è una presenza estremamente elevata di polizia stradale: a Maikop si vede in ogni angolo uno delle forze dell'ordine. Presumibilmente il Sig. "son tosto io" ha qualche problema con la nostra patente di guida internazionale. Infastiditi dai tentativi di registrazione falliti ci innervosiamo ancora di più con questo constrollo e sbottiamo. Sembra che qui in Russia la mano destra non abbia la minima idea di ciò che faccia la sinistra. Impariamo presto che questi controlli di polizia non sono da prendere sul serio e ogni tanto proviamo persino una certa compassione per i poliziotti.

Le città sono terribilmente faticose da visitare e così tiriamo un sospiro di sollievo non appena abbiamo il permesso di lasciare anche questo luogo. Qualche giorno dopo attarversiamo in linea retta una riga tracciata di bianco, a capo della quale due uomini in uniforme vogliono ancora una volta soldi da noi. Con una sufficiente esperienza di polizia nel sacco ritiriamo fuori il nostro numero ja nje panimaju. Il vantaggio di questo comportamento è che noi capiamo perfettamente che cosa vogliono quei tipi da noi, tuttavia lasciamo credere loro di non parlare la loro lingua e di avere seri problemi di comprendonio, per questo, con tutta serietà dobbiamo trattenere le risate quando uno dei poliziotti scende e come un ubriaco si mette a saltellare in mezzo alla strada attorno alla sua stupida righetta bianca. Anche qui la nostra compassione non basta come mancia concessa ai due ragazzi, peccato in realtà, piano piano troviamo questi incontri anche divertenti.

Arriviamo nel Caucaso e ci godiamo queste belle montagne. Catene di colline verdeggianti si alternano a boschi sparsi qua e là, fintanto che puntiamo al nostro posto di sosta, muovendoci, nel bel mezzo di un ampio paesaggio collinoso, su una strada sterrata che svolta a destra e. allontanandoci sempre di più dalla strada principale, ci conduce su questo infinito tappeto di prati verdi. Facciamo appena in tempo a parcheggiare le moto che subito ci passa vicino una gigantesca mandria di mucche con i suoi pastori. Chiediamo loro il permesso di scattare delle foto perché quei tre a cavallo sembrano caucasici originali. Mentre con noi chiacchierano in russo tra di loro essi parlano una lingua a noi sconosciuta, che suona molto dura. Allora è così che suona la lingua del caucaso!!. Quando chiediamo ai tre l'indirizzo per poter spedire loro successivamente le foto restiamo totalmente sorpresi dal fatto che solo uno di essi sa scrivere. E' a lui che viene passato il pezzo di carta sul quale a fatica e con degli errori egli scarabocchia il loro indirizzo.

Involontariamente il nostro pensiero va a Cessy e Dunja (i due pastori caucasici di razza dei nostri cari amici), che qui sarebbero chiaramente a loro agio. Ci ripromettiamo, una volta tornati a casa, di far vedere alle due nobili cucciolone le foto di quella che è la loro vera patria e che loro in realtà non hanno mai visto.

Quando il sole si trova a 10 cm dall'orizzonte per congedarsi dalla giornata io mi arrampico sulla collina più alta dei dintorni per verificare se uno dei caucasici aveva ragione nel dire che questa strada condurrebbe direttamente all'Elbro, il monte più alto del Caucaso. Sulla cartina sembra esserci ancora un bel pezzo, tuttavia, dopo aver faticosamente scalato quella fila di colline, non riesco a credere ai miei occhi. Da un'estesa catena montuosa, spaventosamente diritta si erge maestoso innanzi a me, avvolto in uno spesso mantello di neve il famoso Elbro, con l'imponenza dei suoi 5642 m. La vista è meravigliosa, imponente, mozzafiato. Il tappeto di neve tutt'intorno alla montagna si colora di un rosa intenso riflettendo i caldi colori del tramonto. Mi viene subito in mente il Monte Rosa nelle alpi italiane e mi investe una profonda tristezza, per non poter condividere questo meraviglioso istante con la mia dolce metà (che sarei io! :-) ndt). Da soli, questo momento si gode solo a metà. Decidiamo, per il mattino dopo, di alzarci alle 6 per poter fare qualche foto a sua maestà la Montagna. Controvoglia ci tiriamo fuori dai sacchi a pelo e già durante la marcia ci prepariamo alla gioia del caffé che le farà seguito. Le foto vengono benissimo e così, tutti soddisfatti, lasciamo l'Elbro il giorno stesso. A svegliarci del tutto ci pensa la nostra cartina della Russia: entro il 1'agosto dobbiamo essere al lago Baikal e riuscire a percorrere in tempo quelle migliaia di chilometri significa sottoporsi ad uno stress enorme. Al più tardi in quest'istante ci diventa chiaro che il nostro anno in viaggio sarà tutt'altro che una vacanza.

I vostri Mo & Lo

 

Russia II
Caucaso (Кавказ) - Erschov, 10. - 21. Giugno, km 6600

Siamo rimasti fortemente impressionati dall'esperienza del Caucaso, nell'estremo sud ovest della Russia e, soprattutto, non ci dimenticheremo così in fretta della popolazione locale. Tuttavia il tempo stringe per la tabella di marcia che involontariamente è venuta a delinerasi: in circa 50 giorni dovremo percorrere 8.000 chilometri. Dato che però oltre all'andare in moto abbiamo mille altre cose da fare (per esempio redigere per voi i diari di viaggio, batterli al computer etc.) sembra non esserci mai tempo abbastanza per fare tutto, ecco perché queste righe vi arrivano oggi, mentre noi siamo in Mongolia già da molto tempo. In altre parole, non si può certo dire che negli ultimi tre mesi abbiamo dormito sugli allori.

Dopo aver lasciato il Caucaso attraversiamo una monotona pianura, dove, fino all'orizzonte, si aprono, davanti a noi, solo grandi campi traversati da filari di alberi e cespugli. Decidiamo di evitare il Kazakistan, per ragioni di tempo e di denaro, tracciando così la nostra rotta attuale verso nord. Siamo costantemente alla ricerca di qualche contadino che ci ospiti, ma in questa regione sembra quasi impossibile trovare qualcuno di ampie vedute, disposto a prestarci per una notte un pezzetto del suo terreno.

Proseguendo verso nord, passiamo vicinissimi al Kazakistan e riusciamo a farci un'idea di come sia la sua steppa anche se ci troviamo ancora in Russia: non si vedono più campi, ma, in lungo e in largo, solo gl'immensi prati della steppa. A perdita d'occhio è tutta pianura, non s'intravede la benché minima collina. In questa zona piove pochissimo, ma la nostra ipotesi di non trovare alcuna forma di vita a destra e a sinistra della strada che stiamo percorrendo viene meno quando, con un'osservazione più attenta, tra i cespugli si nota un ronzare, uno strisciare, uno svolazzare che non somiglia neppure lontanamente a quanto si vede nei nostri prati. Una volta avevamo già avuto modo di osservare un serpente sull'asfalto che si crogiolava al sole, ma una sera, mentre attraversavamo la steppa su una strada sterrata, alla ricerca di una piazzola per la tenda, vediamo una famigliola di quattro serpenti, che nel bel mezzo della strada, intrecciati l'uno con l'altro si abbrustolivano al sole. Disturbati dai motori delle nostre moto scompaiono uno dopo l'altro tra i cespugli, mentre noi montiamo la tenda 500 m più in là.

Sono ancora tutto intento a rielaborare la mia esperienza con i serpenti e a misurare con la massima cautela ogni singolo passo in mezzo all'erba, quando, improvvisamente, a preoccuparci è qualcosa di veramente inquietante. Mentre prepariamo la cena si avvicina alla velocità della luce un piccolissimo, insignificante fronte temporalesco. Lo sta cucinando mentre io, preventivamente, comincio ad accatastare tutto il superfluo nella tenda. La famosa quiete prima della tempesta questa volta ci fa un brutto scherzo. Non riusciamo a renderci conto di quanto velocemente scoppi questo improvviso temporale, accompagnato da chicchi di grandine grossi come ciliegie, tanto da farci temere per il rivestimento della tenda. Il vento soffia naturalmente proprio contro il lato meno riparato, spingendo con violenza brutale contro la parete laterale della nostra tenda a tunnel. Piegati dentro il nostro rifugio, cercando di tener ferme le stecche dell'intelaiatura, ancora presi dallo spavento ci accorgiamo troppo tardi del fatto che la tenda ha assunto una forma, per così dire, preoccupante. Le pareti vengono pigate le une contro le altre e l'acqua comincia a filtrare all'interno. Per fortuna il temporale scompare tanto velocemente quanto è arrivato e noi usciamo a valutare i danni. Uno dei tiranti laterali interni si è rotto a causa dell'enorme tensione facendo così spaccare anche la stecca. In più i frammenti di alluminio hanno anche bucato il portastecca, cosa che ha reso il disastro veramente perfetto. E qui è dovuto un grazie di cuore alla Totonka, produttrice della nostra tenda, che ci ha insegnato: un caro prezzo non significa necessariamente alta qualità.

Ripariamo alla buona la nostra bella casetta e proseguiamo. Raggiungiamo presto la città di Wolgograd (ex Stalingrado), che è larga appena 4 km, ma si estende per 75 km lungo il Volga.

Sono colto da una strana, reverenziale impressione al pensiero che un tempo la follia tedesca ha potuto spingersi fin qui e la mia simpatia per gli abitanti della città cresce ancor di più quando ci fermiamo per strada a parlare con loro. Nonostante il nostro passato storico comune essi sono davvero gentili nei nostri confronti e ci augurano buona fortuna per il nostro viaggio.

Con il Volga arriva la pioggia e, facendo di tutto per non sfuggirle in nessun caso, seguiamo per alcuni giorni il corso del grande fiume. Dopo vari giorni di pioggia non riusciamo più a togliere l'umidità e il cattivo odore dai vestiti, così preghiamo che arrivi un pò di vento ad asciugarci e il vento arriva. Arriva tanto vento! Un bel giorno, dato che i ponti in Russia sono una vera rarità, ci ritroviamo in riva al Volga ad aspettare il traghetto, che però decide di farsi attendere per un giorno intero. Arriva tanto vento, ma niente traghetto! Infatti una cosa esclude l'altra.

Digrignando i denti optiamo per una deviazione di 300 km, ma, giunti sull'altra sponta, ci preoccupa un altro problema. I russi si sono dimenticati di asfaltare le strade, "Ma tanto abbiamo due enduro" - pensiamo noi e infatti all'inizio ce la caviamo piuttosto bene sullo sterrato, almeno fin tanto che la cara pioggia, di cui sentiamo la mancanza da ben due giorni, non ci omaggia di nuovo della sua presenza. La guida tranquilla su una strada sterrata di 20 km finisce col diventare una vera lotta nel fango. La pioggia inzuppa così tanto il terreno che ci sembra di spalmare del sapone con le ruote; ma non è abbastanza, dato che lo sterrato si fa così fangoso e paludoso che ad un certo punto acceleriamo senza che accada nulla, perché piano piano tutto il copertone si è incollato a questa sorta di argilla. Cerchiamo di ripulire le moto con un bastone, coprendoci sudore. E' questa dunque la Russia! Ma allora che ci aspetterà mai in Mongolia?!

I vostri Lo & Mo.

 

Russia III
Erschov - Tscheljabinsk (Челябинск), 31. Giugno - 3. Luglio, km 8600

Ma perché a Shangai non ci siamo andati in aereo? A chi è venuta la stupida idea di farsi tutti quei chilometri passando per strade di campagna e in più viaggiando in moto? Quando, al mattino, prendo in mano la cartina e studio la tappa del giorno prima, che Lo, annota sempre con accuratezza, specificando data e tragitto, sono travolto dalla sensazione di non arrivare mai.

La Russia è un paese gigantesco! Guardo la cartina euroasiatica e vedo che la distanza per raggiungere il lago Baikal è immensa, mentre quella per raggiungere casa nostra sarebbe di gran lunga inferiore.

Dopo le prime esperienze senza asfalto che, subito ci creano notevoli difficoltà, ci troviamo ora innanzi ad una tappa piuttosto piccola. La città di Samara ci accoglie con la pioggia e dopo un mese di solleone in Ucraina cominciamo a perdere l'entusiasmo per questo elemento così freddo e bagnato. Ma qualcuno decide di farci la grazia.

Nel bel mezzo della città conosciamo Alexej, un ragazzo poco più giovane di noi. Dopo aver fiutato un poco il nostro caso, Alexej ci invita nel suo appartamento in un casermone prefabbricato con un che di nostalgico. E la pioggia, così, non ci crea più alcuna preoccupazione. Il giorno dopo il nostro nuovo amico russo ci mostra la sua città, dandoci un'impressione più intensa di ciò che Samara è ripetto a quanto avremmo visto semplicemente traversandola da soli in moto. Il centro ci appare luminoso, indaffarato e cordiale, i tanti piccoli cantieri si fanno testimoni dei cambiamenti in atto. Con la passeggiata in riva al Volga la città sembra addirittura disinvolta e spensierata. Ci sono tanti giovani che, seduti sulle numerose panchine, si sballano con birra e vodka, infatti è questo il divertimento qui a Samara. La musica pop russa tuona dalle casse dei locali sparsi nelle vicinanze. La gente è di buonumore e non c'è da stupirsene in una notte d'estate così piacevole e calda.

Mentre, il giorno seguente, siamo intenti a fare i bagagli, Alexej ci invita ad andare a trovare i suoi genitori e dato che la sua città natale, Buruguslan, si trova più o meno sul nostro tragitto, non riusciamo proprio a rifiutare. Appena giunti a destinazione siamo letteralmente travolti e sorpresi, ancora una volta, dall'ospitalità russa; anche la famiglia di Alexej è molto gentile e disponibile con noi: innanzitutto possiamo godere della banja russa, la sauna, poi ceniamo insieme a tutta la famiglia. La mattina successiva ci congediamo con un nodo alla gola, grati di essere stati accolti così calorosamente a tanti chilometri di distanza da casa nostra. Ora ci troviamo davanti ad un'altra strepitosa avventura: gli Urali.

Dopo Samara e Buruguslan attraversiamo paesi sempre più isolati e, man mano che procediamo, mi sembra di penetrare sempre più profondamente nell'anima della Russia. Ci sono già dei boschetti di betulla che fanno capolino qua e là. I prati verdeggianti uniscono il loro colore così fresco al bianco dolce dei tronchi di betulla, graziosi e slanciati. In una valle poco profonda, giace, nascosto dalla nebbia, un tipico paesino russo che pare incantato. Sì, è sicuramente da queste zone che viene la Babuschka russa con il suo foulard tutto colorato e qui troveremo senza dubbio anche le capanne di legno russe che tanto ci entusiasmano con le loro graziose persiane bianche e blu.

Allontanandoci gradatamente dalle strade principali ci imbattiamo a fatica in viottoli sempre più stretti, fino a quando, in un bel momento, l'asfalto ci pianta in asso, come se ciò fosse la cosa più naturale del mondo. Come sarebbe possibile farsi ancora viziare da strade asfaltate, proprio qui, ai confini del mondo? Con lo sterrato si annunciano già le prime propaggini degli Urali, dove i boschi imponenti si ergono lungo i pendii e la strada si fa improvvisamente impervia, visto che dobbiamo dividercela con un torrentello dalla grande autostima e determinazione. I veicoli che si trovano sulla stradina si devono rimettere alla selezione naturale: diversi chilometri più avanti viaggiano solo grossi camion, presuntuosi solo per il loro alto numero di cavalli. Di sera ci serviamo della betulla russa per accendere il nostro fuocherello ormai quasi quotidiano, che ci ricorda costantemente i falò fatti in Luisenstrasse, nel cortile di Kow. Questa deve essere la patria di orsi e lupi, ma ciononostante la notte trascorre tranquilla, requisito fondamentale per poter partire l'indomani con il piede giusto. Altrettanto importanti sono concentrazione, forza e pazienza da parte nostra. Inizialmente riusciamo ancora a procedere sui sentieri del bosco, che pur essendo asciutti, appaiono sospettosamente fangosi; successivamente arrivano dei grossi nuvoloni che ci dimostrano quanto piccolo ed indifeso può essere un povero motociclista, se, al grande capo lassù, gira all'improvviso così. Un temporale lava l'altro e trasforma l'unica nostra via di collegamento in quello che già avevamo profetizzato essere un mare di fango. Così come negli ultimi episodi il nostro cammino si fa sempre più lento. Dentro siamo marci di sudore e fuori lo siamo per colpa della pioggia. Finiamo poi per camminare, tenendo sempre d'occhio la ruota anteriore della moto e facendo attenzione a non scivolare. Rispetto alla nostra ultima battaglia di fango, qui il livello è aumentato di un pò, visto che i camion, scampati alla selezione naturale, hanno lasciato delle tracce piuttosto profonde nel terreno. Talvolta riusciamo a girarci intorno, ma altre volte siamo costretti a passare proprio in mezzo alle pozzanghere, dove in certi casi l'acqua è così profonda da arrivare alle nostre casse laterali, mettendo subito a repentaglio l'equilibrio delle moto super cariche. Speriamo di riuscire a deviare un passaggio particolarmente difficile, visto che subito prima c'è un bivio che ci tenta non poco. Prima di tutto aiutiamo una famiglia di turisti russi a spingere la loro Lada che continua, in salita, a sbandare, poi, passo passo, veniamo noi giù dalla discesa facendo molta attenzione. A metà strada proviamo invano ad accelerare. La scena con il cerchione bloccato si ripete e di nuovo ci copriamo di sudore cercando alla buona di grattar via il fango dalle ruote; devo addirittura strizzare gli occhi per evitare che le mille goccioline che mi scorrono dalla fronte mi accechino. La situazione pare senza speranza, ma tuttavia alla fine ce la facciamo. La strada migliora, la pioggia cessa e la sera mette fine a questo lieve tormento

E' già tardi quando arriviamo in un addormentato paesino di baschi, dove l'unico negozietto è già chiuso. Impieghiamo le nostre ultime energie per spiegare ai contadini ubriachi che ci circondano che forse loro potrebbero chiedere alla comessa di tornare e riaprire in via eccezionale. Nella disperazione vediamo accolta la nostra preghiera, ma nel negozio di alimentari c'è solamente acqua.-Va beh! Non fa niente! Può capitare a chiunque!-

Sfiniti dagli strapazzi di quella giornata ci facciamo la nostra pasta e subito dopo mangiato scompariamo nel sacco a pelo.

Il mattino successivo comincia con un'anteprima: senza far colazione partiamo subito, nella speranza di raggiungere al più presto un paesino dove recuperare il pasto saltato. Al secondo tentativo ci ritroviamo in mezzo alla foresta vergine degli Urali, seduti su due grosse panche di legno, a magiare pesce e biscotti. Dopo tutto ciò ci attende un temporale dietro l'altro e così, giorno per giorno, ci facciamo strada lottando per 50 km nel nostro primo campo d'addestramento denominato Urali.

I vostri Lo & Mo.

 

Russia IV
Urali (Урал) - Novosibirsk (Новосибирск), 1. - 13. Luglio, km 10000

Il primo luglio ci ritroviamo, di fianco alla carreggiata, davanti ad una sorta di grande obelisco di cemento sul quale si legge la scritta Asia e di cui, a momenti, neppure c'accorgiamo. Quest'obelisco segna il confine continentale tra l'Europa e l'Asia.

Strano che la vegetazione al di là del segnale non sembri per niente asiatica! Mi cade lo sguardo sul contachilometri: segna 8.000! Ebbene sì, per circa nove mesi lasceremo la nostra tanto cara Europa. Il tentativo di onorare questa situazione transitoria con degna cosapevolezza fallisce in partenza, anche se, ad un certo punto, sono pur felice di avercela fatta ad arrivare fino qui con la mia Yami. Dopo una foto ricordo continuiamo il nostro viaggio, allontanandoci dalle propaggini degli Urali. Poco dopo siamo nuovamente circondati dalla pianura. Se negli Urali siamo riusciti ancora a viaggiare su strade sterrate, le infrastrutture, ridotte all'essenziale, della rete stradale russa, ci obbligano a transitare sull'unica via di collegamento tra est e ovest. L'ampiezza della Siberia si apre di fronte a noi in tutta la sua bellezza, a destra e a sinistra della strada che stiamo percorrendo. Un appassionato di natura, che si dovesse smarrire in questo paesaggio, alla ricerca di piante sempre nuove ed interessanti, finirebbe per nascondere la testa per disperazione tra l'erba siberiana, data la grande monotonia di questo ambiente. Non avrei mai creduto che ci fossero così tante betulle al mondo! Sembrano essere tutte siberiane doc e nonostante i miei sforzi non riesco a scoprire un'altra specie di albero diversa da questa. Qui trovo anche la risposta alla nostra antica domanda, cioè, come mai, durante la traversata degli Urali siamo stati colti da così tanti temporali?: l'acqua a loro necessaria è presente qui in grande quantità. A perdita d'occhio si vedono betulle addolorate che piangono i proprio cari ormai privi di vita, di cui si riconoscono facilmente i rami secchi e senza foglie, tesi verso l'alto. Si sono spinte troppo in là, finendo con lo sprofondare nella palude circostante.

Ma non sono solo le betulle ad essere il segno evidente della zona paludosa siberiana. Minuscoli rappresentanti della fauna, molto fastidiosi, capaci di volare e visibili a malapena si sentono qui come in paradiso. Totalmente ignari ci cerchiamo un posticino dove trascorrere la prima sera: circondati dal paesaggio locale finiamo in un bosco di betulle, visto che in qualunque altro posto, tutt'intorno a noi, il terreno fangoso rende impossibile qualunque tentativo di montare la tenda.

Il terreno è molle a causa della pioggia; mentre con il piede cerco di testare la consistenza di una strada che conduce al bosco vengo assalito da un'orda di zanzare.

Nonostante io abbia ancora il casco in testa il loro è un vero e proprio attacco nei mei confronti! Sono costretto a darmela a gambe e a fuggire dal bosco per sottrarmi alla loro aggressività. Al tramonto montiamo contro voglia la nostra tenda in questo pezzo di bosco. Mentre prepariamo la cena c'è sempre qualche pezzetto di carne che precipita ad arricchire il nostro pasto, che oggi, in teoria, doveva essere vegetariano. Il mio sguardo alquanto preoccupato si sposta da una parte. Il braccio della mia giacca è talmente ricoperto di zanzare che non riesco più a riconoscerne il colore. Se dopo questo viaggio sento ancora qualcuno che mi dice che in Germania abbiamo un'invasione di zanzare mi offro volontario a comprargli un biglietto per la Siberia a mie spese.

Per fortuna poco dopo un pastore ci rivela il suo magico antidoto contro queste tormentose sanguisughe. Ci ricopriamo di Kamarex e qualche volta riusciamo addirittura a trascorrere delle serate senza la zanzariera davanti agli occhi.

Per giorni e giorni non vediamo altro che paludi, betulle, prati e zanzare. Ora capisco anche perché, in passato, i criminali venivano mandati in esilio in Siberia. E pensare che noi quaggiù ci veniamo di spontanea volontà!!

Un giorno siamo dinuovo costretti ad affrontare un temporalone estivo che decide di fermarsi sulla nostra testa. Davanti a noi si apre una cortina di pioggia apparentemente impenetrabile, seguita da violente raffiche di vento e da una precipitazione che frusta con forza i nostri caschi. Di vedono lampi dappertutto. Le pozzanghere per strada si trasformano in torrenti scroscianti e quest'apocalisse improvvisa ci obbliga a ridurre al minimo la velocità. La situazione si fa così incontrollabile che non faccio altro che ripetermi di non fermarmi e di non appoggiare i piedi a terra perché non si sa mai; non faccio in tempo a finire la frase che già capita l'incredibile: una striscia luminosissima illumina il cielo ancora scuro e genera alla sua estremità una sfera di luce abbagliante, bellissima ed indescrivibile. Per una frazione di secondo mi godo questa visione, ma subito dopo un fragore violento mi spinge a proseguire nonostante la mia più profonda concentrazione su quell'immagine.

Capisco subito dopo che a circa 100 metri da noi un lampo ha colpito un palo della luce in mezzo ad un campo. Il tutto è accaduto in un attimo ma ho avuto come l'impressione che per questo breve istate il tempo si fosse fermato. Il nostro entusiasmo per questo avvenimento resiste a qualunque descrizione. Mi sento piccolo come una formica davanti a tanta infinita forza. L'uomo è veramente pazzo a volersi confrontare con le forze della natura. Sono sopraffatto nel constatare con quanta sovrana leggerezza, eleganza e perfezione Dio si sia rivelato ai miei occhi. Quest'esperienza è stata letteralmente "illuminante". In giorni di profonda monotonia un evento simile si distingue ancora più nettamente.

Lungo il nostro cammino verso la Siberia non abbiamo mai incontrato altri giramondo o, per dirla all'inglese, dei globetrotter. Ma la situazione è destinata ben presto a cambiare: prima un ciclista svizzero, poi una coppia ceca in moto e per finire, in un parcheggio, si ferma vicino a noi uno strano veicolo. Se non mi trovassi nel bel mezzo della Siberia, avrei detto che si tratta di una vecchia Citroen trasformata in furgone. Tuttavia il congiuntivo della mia frase testimonia la realtà dell'apparizione. E di fatti, una citroen, fatta a furgoncino, guidata da due tedeschi, Sylvia e Gisbert è ferma davanti a noi. Totalmente sopresi di poter comunicare in tedesco vediamo subito che quei due sono della giusta pasta. Sylvia e Gisbert ci convincono ad ammainare le vele per quel giorno e a campeggiare con loro. Addirittura torniamo indietro 10 km per inaugurare un campeggio di quattro tedeschi, lontano dalla strada e da occhi indiscreti.

La sera crepita un falò di betulla, molte informaz oni, buonumore e simpatia fanno durare la conversazione con i due tedeschi fino a notte fonda. La stessa cosa accade il mattino dopo a colazione e nessuno ha veramente voglia di partire da quanto è stato piacevole quell'incontro e quel momento. Decidiamo così su due piedi di rimanere qui ancora un giorno. La mia chitarra accompagna, di sera, alcune delle nostre canzoni mentre il mattino seguente ci scombussola un pò. Ma la nostra indecisione finisce con un altro giorno di puro campeggio tedesco tra Omsk e Novosibirsk. Sylvia e Gisbert sono in viaggio già da due anni e, proprio come noi, hanno pubblicato le loro esperienze, impressioni e fotografie sul sito www.sylviaundgisbert.de. Questa specie di vacanza con loro mi sembra un pezzo di Germania. Tuttavia, il giorno seguente, è il momento dell'arrivederci e nel salutarci, nei nostri cuori, diamo un valore del tutto speciale a questa parola.

I vostri Mo & Lo

 

Russia V
Novosibirsk (Новосибирск) - K'achta/Fino al confine, 13. Luglio - 7. Agosto, km 14000

L'inimmaginabile ampiezza della Russia si rivela con grande semplicità ad ogni visitatore che attraversi la Siberia. Nonostante non vi sia nulla di straordinario, sensazionale o particolarmente degno di nota sono semplicemente stregato da questa regione, con la sua immensa estensione e il suo tocco di monotonia. Tuttavia è veramente una delizia per i nosri occhi vedere come, poco dopo Novosibirsk, si formino all'improvviso delle colline, mentre boschi di pini e betulle diventano un tratto sempre più costante di questo paesaggio. Dopo settimane di rettilinei possiamo finalmente fare delle curve e nel frattempo penetriamo sempre di più nell'oriente. Mentre una volta ci annoiavamo a contemplare betulle, prati e paludi, ora dei boschi imponenti ci mostrano l'infinità della Taiga russa- che boscaglia fitta e impenetrabile, che verde scuro, pieno ed intenso colma il panorama fino all'orizzonte!. Ci risulta anche un pò difficile trovare, aldilà della strada, un praticello di due metri quadrati dove poter montare la tenda e riposare.

Ad un certo punto, nel bel mezzo di questa natura incontaminata il manto d'asfalto s'interrompe all'improvviso, sostituito da ghiaia o, meglio, da un fondo impervio ricoperto di lamiera. Ogni sera elucubriamo su come possa nascere in tutto il mondo questo profilato di lamiera ondulata che scuote e sballotta tutto, senza alcuna pietà. Con tanta pazienza e fatica raggiungiamo la città di Irkutsk, vicino al lago Baikal. Siamo costretti ad un lungo soggiorno in questa città per svolgere diversi compiti di discreta durata, come controllare le moto, riparare le casse di alluminio e acquistare vari ricambi dell'attrezzatura. Mentre, all'arrivo, parcheggiamo davanti alla piazza principale con la solita statua di Lenin, mi si avvicina di lato un ricciolone che mi chiede: "Where are you from?". Al mio "From Germany" le mie orecchie percepiscono un dialetto un pò troppo conosciuto: "Beh, allora possiamo parlare in tedesco!". Andreas viene da Dresda e insieme alla sua ragazza Annette, si è comprato, in Mongolia, un vecchio sidecar, di marca russa Ural, con il quale ora stanno facendo ritorno nella patria sassone.

La cosa strana è che noi conoscevamo già quei due dai racconti di Sylvia e Gisbert (vedi diario di viaggio Russia IV). Mentre siamo ancora nel pieno della conversazione si ferma davanti a noi un pulmino, cinque giovani scendono e si dirigono risoluti verso di noi. Anche Tom, Thomas, Claudia, Hagen e Sandra vengono dalla Sassonia e ogni anno tornano a fare un pò di casino nei dintorni del lago Baikal. Il loro impegno qui, nel cuore della Russia, è ben evidente su internet, alla pagina www.baikalplan.de. Ora tutti si parlano uno sull'altro e attratte da questo mix di dialetto berlinese e sassone si avvicinano altre due ragazze di Berlino. La situazione è strana davvero: un incontro di DDRiani davanti al monumento di Lenin, ad 8000 chilometri lontano dalla patria!.

Ci diamo appuntamento per la sera sulla passeggiata in riva all'Angara per fare un pò d'esercizio di conversazione. Nel frattempo andiamo a fare un pò di spesa. Proprio quando vogliamo proseguire un giovanotto ci saltella intorno scattando fotografie: Tobias e il suo amico Oleg si presentano. Appena Tobias scopre che abbiamo percorso in moto la stessa distanza che lui ha fatto con la ferrovia trnsiberiana va fuori di testa per l'emozione: "Allora devo fare subito un'altra foto!" ribatte. Lo troviamo veramente buffo, ma d'altra parte ci sentiamo molto onorati per il suo apprezzamento.

Dedichiamo il giorno successivo ai nostri due bolidi. Il secondo controllo richiede l'impiego delle nostre capacità di meccanici. Sotto la guida esperta di Lo hanno luogo rispettivamente e senza alcun problema il ricambio dell'olio, la regolazione delle valvole, la pulizia del filtro dell'aria e del carburatore, il controllo delle candele e l'avvitamento delle viti allentate, il tutto però richiede un intero giorno di lavoro. A causa di tutti gli scossoni presi sull'ultima strada coperta di lamiera, nella cassa di alluminio sinistra della mia moto si è formata una spaccatura di 10 centimetri, tutti'intorno al sostegno posteriore. Ci dedichiamo alla soluzione di questo problema, per altro piuttosto complesso, durante il nostro terzo giorno di permanenza a Irkutsk. Ci rechiamo in un'officina che ci consigliano, fuori dalla città e là incontriamo Nikolai che si prende a cuore il nostro problema. E' un saldatore ed un vero esperto nel suo settore. In brevissimo tempo la mia cesta è provvista di una bella saldatura e le due casse sono rafforzate con un altro pezzo di alluminio. Come ricompensa a Nikolai basta vedere come brillano i miei occhi, perché sono felice di aver risolto il mio problema con tanta accuratezza, tuttavia Nikolai rivecerà sicuramente una foto della sua officina scattata da noi personalmente, dovesse anche essere tra un anno.

Con quest'esperienza nel sacco lasciamo la città e ci troviamo, 60 chilometri dopo, dinnanzi alla nostra nuova avventura: il lago Baikal. Una perla della natura, un simbolo di bellezza, sì, quello che si apre ai nostri occhi è un vero dono del Signore. La purezza dell'acqua si nota sin da subito. Ci sediamo allo sbocco dell'emissario Angara e vogliamo raggiungere, sul lato sudoccidentale, lungo dei binari poco trafficati di 100 km, la punta all'estremo sud del lago. All'inizio ci riusciamo più che bene, ma dopo alcuni chilometri la strada che affianca i binari si trasforma in sentiero e ad un certo punto si perde finendo in una sterpaglia. Il nostro spirito pionieristico ci suggerisce un'idea per proseguire: Se non funziona lungo i binari, allora bisognerà che passiamo sui binari! Un'asse rotta in due ci consente il passaggio ed in men che non si dica sferragliano due moto totalmente cariche sulle onde più o meno profonde della ferrovia. Questa pressione meccanica finisce con il logorare moto, portapacchi ed equippaggiamento ancora più del viaggio sulla lamiera ondulata. Dopo che più volte passiamo dai binari alla strada che li costeggia ci accorgiamo di aver percorso solo 20 dei 100 km complessivi. Per risparmiare le moto e l'intera struttura decidiamo di fare dietro front. Il consiglio super segreto di puntare lungo i binari della località più a sud del lago, ci è stato dato da Andreas, perché quella tratta pare poco frequentata dai turisti, cosa che, comunque, non possiamo confermare! Grazie Andreas! Grazie, grazie!:-)

Ad essere sinceri dobbiamo ammettere che ripensiamo con piacere a quest'avventura. Consapevoli della deviazione che ci ha condotti a Irkutsk ci cerchiamo, a metà della riva orientale del lago, un luogo accettabile dove poter riposare e rimanere diversi giorni. Quasi già in preda alla disperazione andiamo su e giù per la riva, tuttavia, molto intelligentemente, i Russi hanno costruito la loro bella ferrovia sempre lungo le rive del lago e, inoltre, in qualsiasi posto eventualmente e potenzialmente idilliaco (ignorando naturalmente i binari) si trova sempre un enorme mucchio d'immondizia, che i turisti russi, veri ecologisti, lasciano in triste eredità al lago, come segno della loro passta visita al Baikal. Molto più avanti ci fermiamo delusi tra immondizia, riva del lago e strada. Ai nostri occhi la perla della natura sembra più che altro una perla in un porcile per i suoi indigeni sfruttatori!!

Purtroppo il tempo non ci vuole bene e una pioggerellina tanto fine quanto fredda ci tormenta per tre giorni. Nella notte tra venerdì e sabato il nostro prato diventa un piccolo campeggio. Dei Russi cordiali vengono qui a trascorrere il loro finesettimana e con la loro genuina ospitalità ci fanno dimenticare, almeno per un pò, il triste problema dei rifiuti.

E' giunta l'ora di dare una svolta alla nostra rotta dopo un viaggio di diversi mesi verso l'oriente: girando il manubrio in direzione sud giungiamo presto in Kjachta, al confine tra la Russia e la Mongolia. Siamo già al tramonto e la dogana chiude proprio nel momento del nostro arrivo. Un secondo tentativo al mattino seguente ci fa aprire il primo cancello dell'ufficio. Ci vengono timbrati i passaporti e vengono controlloti i Dokumenti. Un foglio in particolare, una sorta di dichiarazione doganale per le moto rivela una data di validità tranquillamente trascurata da parte nostra, che scadeva naturalmente tre giorni prima. La problematica ci viene illustrata nell'ufficio del direttore, dove si aggiunge subito che il tutto ci costerà 1000 rupie. Noi ribattiamo ribadendo la nostra innocenza e rimandando ai loro colleghi doganieri dall'altra parte della Russia. Ci si mostra tranquilli, ma duri come bravi russi. Noi dimostriamo, invece, di avere tempo in abbondanza e dopo una pressante e reciproca persistenza ci mandano fuori, dove si trovano le nostre moto. Una mossa di grande diplomazia. Così non riusciamo nemmeno più a dar loro sui nervi. Dopo cinque minuti siamo davanti alla porta e cerchiamo di mettere un pò fretta. Questa volta un funzionario in uniforme si interessa al nostro problema e, con un fare quasi materno, cerca di tirarci fuori i soldi dalle tasche. Questa volta però sminuiamo le loro motivazioni e alla fine dei conti restiamo seduti per ben otto ore nell'ufficio dei doganieri a discutere, cosa che, per altro, non è poi neppure tanto male dato che così mi resta un pò di tempo per completare il mio diario. Lo calma i morsi della fame facendo una merendina e così, senza alcuna pietà, finiamo per seccare i tipi della dogana veramente a lungo. Poi cominciamo a ragionare: da 1000 rupie passiamo a 600 e ad un certo punto anche questa somma scompare contro una firma del loro documento e di un nostro "mea culpa" messo per iscritto, che, naturalmente, non capirà un accidenti di nessuno visto che è scritto in tedesco:-)!

Ora però i tipi della dogana hanno fretta dato che è quasi ora di chiudere e l'orario di chiusura è cosa sacra anche per i russi. E così, con tutti i nostri bravi documenti timbrati come si deve, ci spediscono verso l'ingresso della dogana mongola.

I vostri Lo & Mo.

 

Mongolia I
Confine - Avaiheer, 7. - 21. Agosto, km 15000

"Salve ragazzi! Da dove arrivate così tardi?". Queste sono le parole di benvenuto proferite dal doganiere mongolo che ha chiuso il cancello alle nostre spalle, dichiarando così, per quel giorno, la fine del traffico transfrontaliero. La maggior parte dei funzionari sono già andati a casa, ma, a causa del nostro tardo arrivo sul confine mongolo, solo colui che è venuto a chiudere il cancello e i suoi colleghi sono rimasti ad aspettarci per poter mettere sui nostri passaporti il timbro d'ingresso ufficiale.

Purtroppo non riusciamo a registrare le moto in serata e così ci consigliano l'hotel nelle vicinanze. Spieghiamo ai funzionari che non possiamo più neppure pronunciare la parola "hotel" visto che dall'inizio del nostro viaggio dormiamo sempre in tenda e chiediamo loro se è possibile farlo anche questa notte, da qualche parte. "Va bene, non c'è problema, dormite pure qui, sì proprio qui, sul territorio di frontiera". Ci sembra incredibile, non crediamo alle nostre orecchie e, velocemente, montiamo la tenda su quel terreno duro come la pietra. Durante il nostro rituale culinario quotidiano non riusciamo nemmeno a sfruttare più di tanto la luce del giorno, tuttavia riusciamo a risparmiare sulle torce, poiché tutta l'area è ben illuminata. Le sentinelle passano a turno da noi, ci portano qualcosina da mangiare o ci chiedono aiuto per cominciare un gioco al computer e io li aiuto volentieri. E così, alla fine di un giorno in cui i problemi si risolvono da sè, veniamo cullati nel sonno da una pattuglia che marcia al passo cantando.

Il mattino seguente bisogna uscire presto per non farsi svegliare dai primi che arrivano pronti a passare la dogana. Ritiriamo i fogli timbrati per le moto, che qui, rispetto alla Russia, ci vengono rilasciati senza alcun problema e sgommiamo così nella steppa mongola. Sembra ancora tutto molto simile al paesaggio visto gli ultimi giorni in Russia, ma poi, veramente in fretta, cominciano a vedersi le prime iurte, i primi negozi, sempre con scritte in cirillico, ma tuttavia incomprensibili. Gli alberi si fanno più radi e la taiga russa giace ora definitivamente alle nostre spalle.

Quando si arriva in un nuovo paese ci vuole sempre qualche giorno prima di ambientarsi. E così cominciamo adesso anche il nostro viaggio di perlustrazione nella prima cittadina della mongolia, il cui nome è Suehbataar. Dobbiamo capire in quale banca possiamo cambiare i traveller's cheques, dove possiamo comprare qualcosa da mangiare (in negozio o al mercato), come si fa coi distributori e quanto sono disponibili i contadini a concedere un pezzetto di terra per farci montare la tenda. Dopo aver fatto le commissioni più inmportanti qui in città ci spostiamo dritti alla metà su una delle tre strade asfaltate del paese che portano ad Ulaan Bator.

Il tempo è ancora mite, estivo e non si può fare a meno di sognare traversando un paesaggio così grandioso. Tuttavia, al più tardi con l'arrivo a Ulaan Bator, cioè l'unico paese che ha l'aspetto di una metropoli, si ritorna alla realtà. Non sono solo i continui clacson o il traffico un pò caotico a richiamare la nostra attenzione. Questa città sarà il nostro punto di partenza per organizzare il grande viaggio in Cina. In Germania è possibile organizzare solo a dei prezzi esorbitanti, e tramite un'agenzia di viaggio, tutto quanto le autorità cinesi richiedono, cioè, ad esempio, una patente cinese, una targa cinese, un'onnipresente guida/accompagnatore cinese, hotels prenotati in anticipo e riservati agli stranieri. In ogni caso, speriamo di ottenere da qui il tutto ad un prezzo più economico.

Il nostro primo compito è scoprire dove sono le agenzie di viaggio che si occupano di queste cose. Quello che pare facile a dirsi, ad Ulaan Bator si può fare solo con enormi sforzi! Qui non c'è nessuno che sa dire dove si trova una di queste agenzie e opere di consultazione come le pagine gialle devono ancora essere inventate. Una volta trovata un'agenzia, poi, ci si sente chiedere da quando esiste la Muraglia Cinese. Alla mia risposta "dal 210 a. C." mi tocca sentire "Ecco ed è da allora che non ci piacciono i cinesi". Che cosa si può ancora dire dopo una risposta simile? Per fortuna non è tutto senza speranza come la nostra ricerca: arrivano in nostro aiuto Tsend e suo figlio Namsrei, che spontaneamente ci rivolgono la parola mentre siamo per strada. Tsend ci invita nella sua iurta a cinque minuti dal centro e sul suo piccolo terreno ci offre un capanno dove sistemarci e un posto per parcheggiare le moto. Siamo raggianti perché così nei prossimi giorni possiamo continuare senza pensieri la nostra ricerca. Mentre Tsend ci fornisce altri indirizzi, sua moglie Marta ci prepara della pasta in brodo che mangiamo di gusto. Anche il figlioletto Namsrei, che comincerà la scuola a settembre, non vuole rimanere in disparte e così sfida a scacchi oggi me e un altro giorno Mo. La partita finisce uno pari e quindi mi toccherà tornare qui prima o poi!

Quattro giorni dopo salutiamo Tsend e la sua famiglia. Per evitare che il nostro soggiorno in Mongolia si limiti solo alla risoluzione del problema Cina, partiamo oggi per un tour del paese di 19 giorni. Lasciamo i nostri documenti ad un'agenzia di viaggio prima di partire verso ovest. L'agenzia non ha mai organizzato nulla del genere, ma i collaboratori erano palesamentre coinvolti e decisi ad aiutarci. Possiamo così goderci tranquillamente il nostro tour, sapendo con certezza che loro ci organizzeranno ogni cosa.

Se non avessimo dovuto fare la spesa, l'avventura che segue non abbellirebbe i nostri racconti.

Nonostante tutte le precauzioni non si può escludere che durante il viaggio sparisca questa o quella cosa; ecco, ad esempio, la mia tasca dei pantaloni ha una cucitura rossa e proprio in questo punto mentre ero al mercato, hanno cercato con un taglio netto di coltello di rubarmi il portafoglio, per fortuna, non ci sono riusciti. Oggi però mentre Mo è a fare la spesa e io rimango vicino alle moto riescono a rubarmi il casco proprio sotto al mio naso. Non riesco davvero a crederci e penso di averlo dimenticato prima in qualche negozio, ma invece no! E' proprio sparito! La gente che mi sta intorno sottolinea la mia impotenza senza remore, come per dire "certo che l'abbiamo visto!". Ci vuole una bella opera di convincimento prima che un paio di ragazzi seguano il ladro e facciano ritorno poco dopo con il casco in mano. Blea! Sbrighiamoci solo ad andarcene da questa città.

Sotto le nostre ruote c'è ancora l'asfalto che ci accompagna fino al Karakoram (l'antica capitale mongola al tempo di Gengis Khan, intorno al 1200). Purtroppo non è rimasto molto dell'antica città, solo un tempio e un paio di scavi. Qui incontriamo nuovamente alcuni turisti, le cui domande per noi si fanno sempre più divertenti: "Come avete fatto a portare le moto fino qui?", "Guidandole!". Le due parti si guardano e scoppiano in una bella risata.

Poi si fa tutto più tranquillo: niente turisti, niente asfalto, solo un verde pesaggio collinare, sul quale compaiono continuamente dei puntini bianchi, le iurte, che sono per noi così affascinanti. Facciamo rotta verso una di esse e montiamo la nostra Ger (iurta) occidentale di fianco a due Gers della famiglia Malgyn. Qui conosciamo nuovamente l'ospitalità locale, che però colpisce molto meno rispetto alla famiglia di Tsend. Forse ciò dipende dal fatto che non appena ci fermiamo da qualche parte i mongoli non solo si accalcano subito intorno a noi, ma devono anche toccare dappertutto. Questa è una cosa a cui ora ci siamo abituati, però quando vogliono sedersi a tutti i costi e senza chiedere sulle moto, che sono già super pesanti, allora esagerano, perché se la moto si rovescia, il danno purtroppo non si rimedia con un semplice "scusa". E così combattiamo anche con gl'inesorabili uomini della famiglia Malgyn per far capire loro qual'è il problema. Una XT 600 carica al massimo non è una Isch (motocicletta russa, 350 di cilindrata, posseduta qui da una persona su due). Ciononostante poco dopo essi ci offrono da bere il loro latte di cammello (a cui noi dobbiamo sempre abituarci) e impariamo da vicino come vengono riunite le greggi, come si mungono mucche e cammelli e, come cigliegina sulla torta, al mattino dopo dobbiamo provare anche un giro sul dorso di un cavallo mongolo. Sarebbe egualmente divertente cavalcare un cammello? Speriamo che il deserto davanti a noi ce lo possa svelare!

I vostri Lo e Mo.

 

Mongolia II
Avaiheer - Zamyn Uud/Confine, 21. Agosto - 19. Settembre, km 17000

Ulan-Bator è già alle nostre spalle. Sui primi sterrati ce la siamo cavata con destrezza e ora, dopo Avaiheer, ci addentriamo sempre di più nel deserto dei Gobi. Quando si pensa ad un deserto ci si immagina subito un luogo senza alberi, senza cespugli, con tanta sabbia...solo ed esclusivamente sabbia. Ma è proprio la tanta sabbia che manca qui, anche se sembra che essa sia presente in una parte del Gobi. La composizione del terreno cambia costantemente: da sabbioso, diventa pietroso, fangoso o ricoperto dalle più disparate specie vegetali. Talvolta si vede solo qualche filino d'erba striminzito sparso qua e là, altre volte il suolo è completamente ricorperto da arbusti sempreverdi e cespugli di conifere. All'inizio siamo un pò irritati dall'acqua presente nei tanti avvallamenti, poi, però, ci ritroviamo in mezzo a diversi temporali che spiegano l'arcana presenza di così tanta acqua.

Riuscire a trovare la strada giusta in mezzo al deserto non è sicuramente cosa facile, sempre ammesso che esista una "strada giusta". Qui non ci sono indicazioni stradali, soltanto due tracce che, allontanandosi lentamente l'una dall'altra, vanno a formare un incrocio, il che, tuttavia, si comprende solo dopo 20 km. Nonostante la posizione del sole e la bussola mi stupisco di come sia difficile mantenere il senso d'orientamento. Cerchiamo di sfruttare le singole jurte, sparpagliate qui e là, per informarci di volta in volta sulla località più vicina. Per tre giorni ci aggiriamo come fantasmi nel deserto, con l'incertezza di riuscire a trovare durante la giornata almeno un paese con un negozio dove poter comprare qualcosa da mangiare. Alla fine decidiamo di seguire il corso dell'Ongi, l'unico fiume che traversa il Gobi. Poiché la strada si dirama sempre più e tutti i sentieri finiscono poi nel nulla, optiamo per cambiare sponda. La mia cartina dice che dall'altra parte ci dovrebbe essere una strada principale. Purtroppo i Mongoli non si sono diementicati solo dell'asfalto e dei cartelli stradali, bensì anche dei ponti!. Sprofondiamo così più volte nell'acqua che ci arriva alle ginocchia, alla ricerca della miglior possibilità di guado. Senza bagagli traversiamo il fiume uno dopo l'altro e, nonostante la forte corrente, riusciamo ad arrivare senza problemi dall'altra parte, dove provvediamo subito a montare la nostra tenda. La proprietaria del campo vicino a noi ci invita a cena e continua a chiedersi da dove mai arriviamo visto che sull'altra sponda del fiume non esistono strade....mamma mia quanto ha ragione!!!

Poiché ha studiato a Irkutsk (Иркутск) parla perfettamente russo e, grazie a ciò, non ci è difficile trascorrere con lei una serata all'insegna della comunicazione, ricca di tante nuove informazioni. Siamo riposati e abbiamo recuperato le nostre forze, il deserto ci attende il giorno successivo, richiedendo di nuovo la nostra completa attenzione. Certo, ci vuole un bel pò di concentrazione e di sudore per fare 20 km sul letto di un fiume in secca e sabbioso, ecco perché, più tardi, siam ben felici di constatare l'alternarsi di fanghiglia, roccia e lamiera ondulata (un profilo scanalato perpendicolare alla carraggiata). Ci sono piccole montagnole da attraversare a cui segue nuovamente un'ampia zona di dolci colline. Poi, tutto d'un tratto, ce li troviamo davanti... sì, proprio loro, i primi cammelli! Non si può proseguire senza una pausa fotografica e una piccola cavalcata. Ben saldi tra le due gobbe trottiamo uno dopo l'altro intorno alla jurta del padrone.

E' pazzesco quanto siano curiosi questi animali! Già!, infatti non dobbiamo neppure fare lo sforzo di andare a cercare il prossimo gruppo, perché sono loro a venire da noi e a farsi fotografare spontaneamente. Con Dalan Dzadgad abbiamo raggiunto il punto più a sud del nostro tour dove Mo rilascia un'intervista per i 1000 lettori del giornale locale. La foto finale viene scattata davanti ad uno dei tantissimi monumenti della città. Dato che quasi tutte le città della provncia sono state progettate secondo lo stesso schema qui è facilissimo orientarsi.

Dopo cinque giorni, quando ci siamo ormai lasciati alle spalle 500 km di quella terribile strada ricoperta di lamiera ondulata, torniamo a bussare alla porta di Tsend. Ora vedremo un pò come vanno le cose con la Cina. E infatti lo vediamo subito! Dopo ben 14 giorni il nostro grande esperto dei mega viaggi, il cui livello è pari a quello di un asilo nido, ha reperito tutte le informazioni, e cioè tutte quelle che io gli avevo dato quando gli avevo consegnato i nostri documenti! Eh beh! Se continuiamo così in Cina non c'arriveremo neppure tra un anno!

Quindi, ora ci occuperemo del tutto personalmente. Dato che il tempo non resta mai fermo, ma, al contrario, scorre sempre repentino, ci restano solo un paio di giorni prima che ci scada il visto per la Mongolia, il che a sua volta significa che prima di richiedere un visto per la Cina dobbiamo farci prolungare quello per la Mongolia stessa. Detto, fatto e, con una burocrazia che qui credevamo inesistente, dopo tre giorni ci ritroviamo in mano i nostri passaporti timbrati a dovere. L'ambasciata cinese sembra farla molto meno lunga: basta un colloquio con l'ambasciatore, persona davvero disponibile, ad assicurarci un visto di tre mesi. L'attesa è di una settimana e il tempo restante lo passiamo alle porte della città, vicino al fiume.

Dopo una notte piuttosto fredda sgattaiolo fuori dalla tenda e non credo ai miei occhi: tutto il prato è coperto di brina e, nel fare il caffè, ci accorgiamo di quanto freddo abbia fatto di notte. L'acqua delle bottiglie è quasi completamente gelata e a mala pena riusciamo a riempire il pentolino. Siamo al 17 di settembre e l'inverno bussa proprio ora alla nostra porta. E' proprio giunta l'ora di mettersi in viaggio verso sud; trascorriamo un'ultima notte da Tsend e già siamo in moto, sta volta con una speranza in tasca: tre mesi da trascorrere in Cina.

La strada che porta a Zamyn Uud, l'ultima città mongola prima del confine, è ancora in costruzione e, mentre chiediamo delle indicazioni sulla giusta direzione, ci imbattiamo nel nostro primo antesignano-operaio edile cinese. Ce ne sono altri, a 150 km da qui, impegnati a lavorare per fornire al paese la sua 4' strada asfaltata. L'orientamento ci viene a mancare più facilmente del previsto, ci muoviamo sempre tra il cantiere stradale e la linea ferroviaria che però sembra serpeggiare per benino, perchè, arrivati a Saisand, il contachilometri segnala una differenza di 70 km rispetto a quanto indicato dalla cartina. Per fortuna abbiamo calcolato con grande abbondanza le riserve di benzina necessarie e, quindi, raggiungiamo la città senza alcuna difficoltà. Dopo l'ultima sosta al distributore affrontiamo i prossimi 200km. Siamo di nuovo nelle mani del deserto che ci tiene in pugno con le sue strade a volte difficili da transitare. Nel bel mezzo del Gobi incontriamo ben 18 bus urbani, chissà che razza di cartina dovevano avere per essere finiti quaggiù! Ma tutto ha un senso: essi superano i bus nuovi di zecca che da Pechino vanno ad Ulan-Bator percorrendo quest'incredibile tratta. Non pensano che forse la ferrovia lì accanto sarebbe una buona alternativa? Boh! In ogni caso auguriamo loro buon viaggio e speriamo che, dopo un simile tour del deserto, ad Ulan-Bator i bus si possano ancora riconoscere come tali. Alla sera vediamo all'orizzonte la città del confine, ma poiché per espatriare oggi è ormai tardi, speriamo di poter campeggiare un'ultima volta sul suolo mongolo. Dall'indomani ci restano solo due giorni per organizzare l'ingresso in Cina, prima di fare scadere un'altra volta il visto mongolo.

I vostri Lo & Mo.

 

Mongolia III
Confine, 19. - 20. Settembre, km 17000

Ci troviamo dinnanzi alla nostra ultima grande avventura in terra mongola, dopo un sacco di esperienze tutte particolari ricevute in dono da un mese di soggiorno in Mongolia. A 10 km di distanza riusciamo a distinguere i contorni della cittadina di Zamyn Uud, al confine con la Cina. Secondo la nostra guida è lì che avrebbe avuto inizio il Regno di Mezzo. Ed è in questa città che si deciderà il nostro destino, cioè se raggiungeremo la nostra meta, Shanghai, passando proprio dal Mezzo, per così dire, direttamente dalla tana del lupo, oppure se saremo obbligati a fare una lunga deviazione passando per Vladivostok o ancora se, con una deviazione nella direzione opposta, ossia attarverso l'Asia centrale, finiremo per vedere "la città sul mare".

Poiché, grazie all'aiuto dei Mongoli, non siamo riusciti a compilare nessun documento d'ingresso a parte i visti di tre mesi che spiccano dai nostri passaporti, cerchiamo subito, risoluti, di applicare la strategia x. Vogliamo trovare un camion mongolo che carichi le nostre moto sul suo rimorchio e le dichiari come merce in transito, portandole aldilà del confine. Noi potremo, a quel punto, passare la dogana cinese come dei normalissimi turisti. Una volta giunti a Zamyn Uud ci mettiamo subito al lavoro, cominciando a chiedere a vari camionisti. Il prezzo per quello che chiediamo varia notevolmente e alla fine riusciamo ad ottenere il servizio per 20 euro (la richiesta iniziale era di 200!).

Mentre siamo ancora in trattativa con l'ultimo camionista, arriva una jeep e si ferma vicino a noi. A rivolgerci la parola è una persona dall'aspetto sospettosamente mitteleuropeo, per non dire un tipo davvero "german-like". Così conosciamo Heiko, che, con dei compatrioti tedeschi, si guadagna la pagnotta in un cantiere lì vicino. Appena viene a conoscenza del nostro piano ci spedisce subito al cantiere dai suoi colleghi Albrecht e Roland. La strada per arrivarci è facile, due enormi cisterne bianche sono il nostro punto di riferimento e, al nostro arrivo, troviamo Albrecht ad accoglierci. Facciamo appena in tempo a descrivergli ciò che abbiamo in mente che già si mette al telefono come un matto.

E' mezzogiorno e nessun cinese va a riposare a stomaco vuoto! A tavola ognuno racconta la sua storia. I tre tedeschi si trovano qui in mezzo al deserto per costruire una stazione di travaso per diesel e benzina, poiché gl'interassi dei veicoli da rotaia mongoli e cinesi sono diversi gli uni dagl'altri. Dopo mangiato c'è una visita esclusiva a questo cantiere mongolo-tedesco.

Nonostante i nostri visti scadano già l'indomani, siamo molto calmi e rilassati per quanto concerne il nostro complesso problema. Pazienti e felici del nostro interessamento, Albrecht e Roland rispondono a tutte le nostre domande da profani su questa loro creatura sita in mezzo al deserto dei Gobi. Con un pizzico di umorismo e disperazione insieme, Albrecht ci spiega il principio del calcio giovanile: una metafora che ben illustra il metodo di lavoro dei Mongoli.

Osserviamo come 15 Mongoli cercano alla buona di distribuire sul soffitto di una cantina, tra griglie di cemento armato, del cemento fluido che sgorga senza sosta da un tubo. Proprio come succede con il calcio tra i ragazzi, tutti si buttano contemporaneamente sulla palla, la metà di essi, però, non fa altro che rimanere lì a guardare. Sì, effettivamente percepiamo quel barlume d'impotenza che caratterizza gli sforzi degli ingegneri tedeschi per completare la costruzione entro le scadenze. Anche se non siamo esperti del settore riusciamo a capire il disastro che nasce dalla pretesa di conciliare perfettamente la mentalità del lavoratore tedesco quella di quello mongolo.

Mah sì, anche lì ne vediamo delle belle!

A sinistra si va in Cina e allora...via! Insieme al mio nuovo amico Albrecht vado in jeep su e giù per le dune alla ricerca di vari camionisti. Raccogliamo un pò di numeri di telefono, per aver abbastanza assi nella manica all'ultimo giorno di validità del visto. Anche se impegnamo non poco il tempo di Albrecht sembra che la nostra presenza sia un bel diversivo per la sua routine al disperato cantiere. Trascorriamo ancora un'allegra serata in alcuni bar della città e, parlando con i nostri concittadini, cominciamo a capire che cosa significa per loro dover lavorare qui. Il giorno successivo il tempo stringe e ci va buca anche un'appuntamento con uno dei camionisti. Altri disdicono per telefono. Un altro ancora mi voleva incontrare, ma probabilmente il luogo prestabilita è stato frainteso. Lo cerca per tutta la mattina di convincere qualche autista con rimorchio ad aiutarci. Proprio mentre mi allontano dal cantiere per dirigermi dal prossimo candidato vedo arrivare Lo seguito da un camion.

Ora sì che dobbiamo fare in fretta, perché alle 17.00 la dogana chiude. Riunendo le forze carichiamo le moto trasportandole da un mucchio di sabbia sulla rampa del rimorchio. Dopo che ci siamo congedati dai nostri entusiasti aiutanti ed abbiamo svoltato l'angolo del cantiere, vediamo ancora Roland in cima ad una collinetta di sabbia che ci guarda con malinconia. Ci sono dei momenti che sono veramente indescrivibili, in ogni caso, in questo momento, non avremmo per nulla voglia di andare in Cina, tuttavia ci sono dei numeri importanti che ci obbligano a farlo.

Il camionista mongolo che trasporta le nostra moto se ne va prima di tutto in santa pace a casa per pranzare. Anche i doganieri sono in pausa pranzo e quindi pure noi cerchiamo di calmare i morsi della fame. Intanto si fanno le 15.30, ci restano ancora 90 minuti e poi si va! Traversiamo da ultimo la cittadina al confine e poi, davanti a noi, riconosciamo già la prima barriera. All'orizzonte vediamo un arco gigantesco con i colori dell'arcobaleno, secondo quanto ci ha detto Albrecht si tratta del cancello per il Regno di Mezzo. Ce la faremo davvero? Ci fermeranno magari già al primo posto di controllo rispedendoci indietro? Ci useranno come pallina da ping pong prendendosi gioco di noi nella terra di nessuno? Non lo sappiamo, saranno le prossime ore a dircelo!.

I vostri Lo & Mo.

 

Cina I
Confine - Jining, 20. - 24. Settembre, km 17300

Non sono mai riuscito a capire che senso abbiano le frontiere. Come fanno cifre e timbri su un pezzo di carta ad essere così importanti? Le frontiere e i vari passaggi di frontiera riescono ogni volta a rendermi nervoso. E cio’ vale in particolare per questo preciso istante: la prima sbarra si alza e noi ci fermiamo innanzi all’edificio della dogana mongola. I camionisti varcano questo confine ogni giorno e probabilmente conoscono per nome ogni doganiere (uomo o donna che sia). Mentre il nostro giovane aiutante mongolo fa la corte alla signora in uniforme noi sbrighiamo le varie formalità all’interno dell’edificio. Non riusciamo quasi a credere con quanta velocità i nostri visti vengono timbrati: grande! Abbiamo già risolto il primo problema: ora non possiamo più rientrare in Mongolia. Il nostro camionista è già lì che ci aspetta, quindi...avanti! nessuno vuole controllare i documenti delle moto e noi ci guardiamo ben bene dal fare domande inopportune.

In questa terra di nessuno la coda di camion è stranamente lunga; in Cina manca la corrente e a noi restano ancora 60 minuti prima della chiusura della frontiera: l’attesa è interminabile, aspettiamo e aspettiamo, ma non accade nulla. Poi, all’improvviso, i primi colossi d’acciaio si mettono in marcia...abbiamo solo mezz’ora! Lentamente ci avviciniamo al check point cinese. Ancora lontani dalla sbarra vediamo già un primo doganiere che si avvicina a noi. E ora ci siamo!... Adesso di sicuro si metterà a gesticolare per farci capire che dobbiamo fare marcia indietro...e invece...ci fa un sorriso e ci lascia proseguire. Qui, come sul fronte mongolo, dobbiamo entrare nell’edificio doganale mentre il nostro camionista ci attende al checkpoint. Tutti i moduli compilati vengono accettati senza problemi e così ci viene risolto anche il nostro secondo problema, visto che il timbro di ingresso per la Cina è lì che pulsa nei nostri passaporti. Complici e trionfanti ci scambiamo uno sguardo fugace. Ora non ci possono più nemmeno cacciare fuori dalla Cina. Mentre aspetto Lo sento qualcuno che mi batte sulla spalla. E’ il nostro autista che mi lascia intendere che ci va ad aspettare vicino all’uscita della dogana, in territorio cinese. Come? Dove? Con un cenno indica il suo camion su cui buone buone ci sono le nostre due Yami che ci attendono. Forse sto sognando!!: come cavolo ha fatto quel buon uomo a passare la frontiera cinese con le due moto senza nessun documento? Noi non riusciamo proprio a spiegarcelo!.

Sento che dentro di me sta crescendo una gioia quasi inebriante. Mettiamo l’ultima cigliegina sulla torta e ci facciamo timbrare i documenti delle moto per evitare in futuro ogni problema doganale. Dopo aver tergiversato un pò ci concedono persino questi timbri. A questo punto risaliamo sul camion e abbandoniamo il confine cinese. No! Non ci credo! Siamo in Cina! Siamo davvero in Cina!!!

Vicino al confine troviamo un cantiere con dei lavori in corso: del tutto indisturbati e inosservati ci facciamo aiutare da alcuni operai cinesi a scaricare le moto su una montagna di sabbia da cui poi le facciamo scivolare per terra. Salutiamo il nostro autista dandogli una mancia per ringraziarlo del suo prezioso aiuto e ci lasciamo con un amichevole schiaffetto sulla guancia. E’ ignaro di quale grande servizio ci abbia appena reso.

Con attenzione attraversiamo sulla tangenziale la città di confine senza vedere neppure un poliziotto. Neanche gli occhi costantemente puntati sullo specchietto ci lasciano scorgere qualche inseguitore indesiderato. A questo punto non riusciamo più a trattenerci: tutte in una volta sentiamo le tensioni che si rilasciano, nei nostri occhi spuntano lacrime di gioia. Come bambini ci mettiamo sfacciatamente a saltellare qui e là sulle nostre moto.

Respiro profondamente l’aria tiepida della sera: oggi mi sempra ancora più piacevole del solito! Il sole è quasi all’orizzonte e sembra voglia dirci: “allora ragazzi, alla fine ce l’avete fatta? Visto? Non era poi così difficile”. Mi viene in mente una frase de “L’Alchimista” di Paulo Coehlo: “Se qualcuno nella sua vita vuole veramente qualcosa tutto l’universo lo sosterrà affinché egli raggiunga la sua meta”. A ciò non posso aggiungere nient’altro.

I giorni seguenti ci muoviamo con estrema cautela sulle strade della Cina. Ci sentiamo il cuore in gola ogni volta che passiamo davanti ad un’auto della polizia. Da un momento all’altro ci aspettiamo di sentire suonare la sirena, ma tutti i poliziotti in uniforme si limitano a guardarci sorpresi come se avessero visto due extraterrestri. Siamo costretti ad attraversare le varie città per far scorta di cibo e benzina e, ogni volta, veniamo subito attorniati da un’immensa orda di persone. Ragazzi, da dove venite? Sembra quasi che questa regolare fiumana di gente sia parte della costituzione cinese. Non vogliamo per nulla al mondo dare nell’occhio altrimenti anche la polizia si farebbe subito più attenta, tuttavia non siamo proprio in grado di influenzare minimamente questo strano fenomeno cinese. L’interno della Cina si rivela ancora molto desertico. E quindi riusciamo sempre a trovare un posticino nascosto tra le colline in cui fermarci. Piano piano ci tranquililizziamo e lasciamo passare la tensione. La nostra nuova meta è Pechino. Da là basta poi un tiro di schioppo per raggiungere Shangai. Questa città non ci è mai sembrata tanto vicina come ora e, con il cuore pieno di gioia, scrivo sul mio diario: Shangai, arriviamo!

I vostri Lo & Mo.

 

Cina II
Jining - Hualei, 24. - 27. Settembre, km 17600

Evviva! Siamo in Cina!!!Cavoli! Ci siamo fatti mille problemi su come portare le nostre moto in questo paese senza cadere in miseria...e ora? Ora viaggiamo sulle strade della Cina come se fosse la cosa più naturale del mondo!.

I primi cmpi che compaiono qua e là ai lati della strada preannunciano il limite meridionale del deserto dei Gobi. Il traffico si fa più intenso e ci riesce difficile concentrare l’attenzione sulla strada: in ogni angolo ci sono cose da scoprire, tutto è diverso...

Per le strade di campagna superiamo trattori e tricicli semi distrutti carichi di mattoni; veniamo a nostra volta superati dalla polizia, tratteniamo il respiro, ma...niente!probabilmente non siamo sembrati sospetti!

Mentre attraversiamo le città i nostri occhi fissano costantemente le file di case di fianco a noi: un veloce ed indescrivibile formicolio di gente indaffarata e in movimento è quello che caratterizza ogni tratto.

Nella periferia di ogni località c’è gente che aggiusta, costruisce, monta, produce.

Ogni casa è costituita da un garage aperto direttamente sulla strada all’interno del quale vengono svolte le più svariate attività (negozi, officine, gastronomie...) e da un secondo piano che sporge leggermente in avanti come una sorta di mansarda. E’ lì che solitamente vivono i piccoli occhi a mandorla. A sinistra vediamo un’officina per motocicli, lì di fianco un’altra, nel terzo garage qualcuno sta saldando una porta di metallo, qui un cinese raddrizza una ringhiera battendo sulle sbarre di metallo.

In centro, invece, sono più che altro negozi e gastronomie a caratterizzare la scena di strada. Anche davanti ad essi ci sono bancarelle su cui si trova veramente di tutto e dove non se ne vedono mai abbastanza. Dappertutto c’è gente che va in bicicletta e, se per un attimo non stiamo attenti, c’è subito qualcuno che ci taglia la strada...devono essere proprio stanchi di vivere! Qui sembra non esserci alcuna regola di traffico: biciclette, tricicli, sì persino i risciò o addirittura le auto ci vengono contro sulla nostra stessa corsia...Mamma mia! Mi sa che non riusciamo a sopravvivere fino a Shanghai! La gente svolta a sinistra senza mettere la freccia, tagliandoci la strada e facendo quasi finta di andare a destra... non si ha neppure il tempo di frenare o suonare il clacson.

Persino i pedoni, che stanno per attraversare, rimangono come in trance in mezzo alla strada e poi, indifferenti al notevole traffico, proseguono come se nulla fosse. E’ pazzesco... questo caos stradale è semplicemente pazzesco.

Poi ci avviciniamo ad un casello che blocca la strada. Accidenti! Sicuramente adesso avremo qualche casino, pronti all’attesa ci dirigiamo verso la sbarra: uno sguardo all’ufficiale dietro allo sportello è sufficiente ad aprirci il passaggio. Sbalorditi attraversiamo il casello. Poco dopo c’è un posto di blocco e il poliziotto ci guarda sbalordito quanto noi; ora però dobbiamo svignarcela e con l’ennesimo colpo di fortuna lasciamo il poliziotto rimpicciolirsi sempre più nel nostro specchietto. Siamo anche sorpresi dall’ottima qualità del manto stradale: è fantastico vedere come una piccola e misera stradina di campagna si trasformi in un pezzo a tre corsie con delle belle piste ciclabili.

E così, piano piano, ci abituiamo al territorio cinese... Ormai non c’è nulla che ci sia più familiare: la sera quando cerchiamo un posto per la tenda, non possiamo far altro che accamparci in un campo di mais, visto che, dovunque si guardi, si vedono solo campi su campi. Da quando abbiamo varcato il confine non sono ancora riuscito a scovare un pezzettino di prato che avesse potuto ospitare la nostra modesta tenda.

Dopo una delle interminabili città che sembrano quasi finire l’una nell’altra, una strada molto trafficata ci lascia pregustare quella che sarà la nostra battaglia con il traffico cinese. Non credo che l’inferno possa essere peggio!!: camion che, uno dopo l’altro, scalano a stento il fianco della montagna: asfissianti, fumanti e clacsonanti questi colossi procedono davanti e dietro a noi. I motocicli non sono visti molto di buon occhio qui. Un inequivocabile concerto di clacson dietro di me mi comunica chiaro e tondo: “Hai ancora 5 secondi prima di essere ridotto in poltiglia” – bene, ok, potrebbe capitare a chiunque... Evitiamo.

Poi il tutto si concentra ai piedi di una montagna. La ragione è che uno di questi mostri giganteschi si è rovesciato: Proprio mentre vuole superare un suo simile, un bus turistico proveniente dal senso contrario si mette a superare. In questa lotta tra titani noi non possiamo fare altro che assistere scuotendo il capo: i cinesi riescono di fatto a trasformare una normalissima strada di campagna in un’autostrada a quattro corsie.

Proprio in mezzo al deserto, dove niente avrebbe potuto turbare la quiete di nessuno, con il nostro ingresso siamo stati come catapultati da una macchina del tempo in un mondo totalmente diverso.

Il contrasto tra la Cina e la Mongolia determina una diversità delle cose così intensa, così profonda che l’estremo cambiamento da un paesaggio all’altro ci sembra quasi irreale. Tuttavia, piano piano, ci arrendiamo alla situazione attuale adattando il nostro ritmo di marcia e il nostro modo di vivere alle circostanze: impieghiamo sempre meno energia per la quotidianità avendo quindi più forza per scoprire il bello e il sorprendente di ogni particolare.

Pechino è ormai alle porte e nei prossimi giorni richiederà tutta la nostra attenzione. Siamo orgogliosi di avercela fatta fino a qui e siamo grati di poter realizzare il nostro sogno.

I vostri Lo & Mo.

 

Cina III
Hualei - Pechino - Shanghai, 27. Settembre - 13. Ottobre, km 19300

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Cina IV
Shanghai, 13. - 30. Ottobre, km 19400

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Cina V
Shanghai - Yichang, 30. Ottobre - 10. Novembre, km 21000

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Cina VI
Yichang - Baoshan, 10. - 30. Novembre, km 23600

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Cina VII
Baoshan - Mohan (Grenze Laos), 30. Novembre - 12. Decembre, km 25300

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Laos
Borter - Vientiane, 12. - 15. Decembre, km 26100

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Thailand/Malaysia I
Nong Khai - Kuala Lumpur, 15. Decembre 2003 - 1. Gennaio 2004, km 29000

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Malaysia II
Kuala Lumpur, 1. - 31. Gennaio, km 30000

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

India I
Chennai, 31.1. - 7.2. km 30000

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

India II
Chennai - Nagpur, 7.-12.2., km 31000

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

India III/Pakistan I
Nagpur - Lahore, 12. - 22. Februar, km 33000

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Pakistan II
Lahore - Multan, 22. - 25. Februar, km 33400

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Pakistan III
Multan - Taftan (Grenze Iran), 25. Februar - 2. März, km 34600

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Iran I
Taftan - Tehràn, 2. - 10. März, km 36400

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Iran II
Tehràn - Bitlis, 10. - 17. März, km 37800

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Turchia
Bitlis - Erdine (Grenze Griechenland), 17. - 31. März, km 40000

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Italia I
Erdine - Bari, 31. März - 15. April, km 41700

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Italia II
Bari - Bozen, 15. - 29. April, km 44200

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Germania
Bozen - Wildau, 29. April - 1. Mai, km 45000

Purtroppo non ancora disponibile in italiano

 

Epilog

Purtroppo non ancora disponibile in italiano